Nel dibattito liberale riscontro continuamente una contrapposizione frontale tra liberali e anarco-capitalisti (ancap) , una sorta di guerra tra poveri in un mondo dove le ideologie stataliste e collettiviste la fanno da padrone.

Vorrei provare a far riflettere quanto tale posizione sia sterile e dannosa alla causa del liberalismo. Di più, cercherò di dimostrare che un liberalismo privato della posizione ancap non è vero liberalismo e che una posizione ancap che non ha nulla da dire sull’organizzazione di uno stato è una posizione solipsistica e irrilevante. 

Per aiutarmi nell’esposizione introdurrò un parametro che ho chiamato indice di statalizzazione (IS) e che ho definito per semplicità come il rapporto tra la Spesa Pubblica e il PIL. IS è utile perché è misurabile. 

Un altro parametro importante dal punto di vista concettuale è l’efficienza di un’economia (EE) che ho definito come il rapporto tra il PIL che soddisfa utilità (Ricchezza reale) e il PIL calcolato (Ricchezza teorica). Tale parametro è utile da punto di vista logico anche se purtroppo non è misurabile; se ne può dare solo una valutazione soggettiva. Esso misura le inefficienze e inutilità introdotte dall’organizzazione statuale. È infatti evidente che lo stato, che gestisce risorse economiche in modo coercitivo, non potrà mai essere altrettanto efficiente del puro libero mercato dove tutte le transazioni sono volontarie di tipo win-win e, in quanto tali, creano pertanto tutte utilità (1) . 

L’esistenza dello stato, quindi, fa si che l’efficienza economica sia sempre inferiore al 100%; per lo stesso motivo per cui un motore reale non può avere un’efficienza del 100% a causa degli attriti e degli sprechi energetici. 

E tuttavia, è opinione corrente che lo stato sia un’istituzione necessaria in quanto la maggior parte delle persone ritiene che alcuni servizi (tipicamente sicurezza e giustizia) non potrebbero essere forniti in condizione di libero mercato e che un’organizzazione sociale di diritto privato sarebbe presto vittima degli stati che la circondano che inevitabilmente l’aggredirebbero e l’includerebbero. 

Tale credenza fa si che gli individui alla fine scelgano di darsi un’organizzazione di tipo statuale, questa, una volta introdotta, contribuirà ad alimentare tale credenza in modo che difficilmente potrà essere rimossa. 

Tornando all’indice di statalizzazione che abbiamo sopra introdotto, possiamo immaginare un segmento che abbia per estremi da un lato IS uguale a zero (società anarco capitalista o di libero mercato) e dall’altro IS uguale a 1 (socialiamo puro, con tutte le attività economiche gestite dallo stato). 

Ogni stato è rappresentato da un punto intermedio in tale segmento ed è caratterizzato da una sua efficienza economica. 

Ora è chiaro che mentre la posizione ancap è rappresentata da un punto specifico del segmento (l’estremo di sinistra), la posizione liberale è rappresentata da una porzione di detto segmento. Non esiste un punto che definisca la posizione liberale, solo un insieme continuo di punti che hanno per estremi valori non definibili.

Il limite inferiore dovrebbe indicare il rapporto minimo tra economia pubblica e economia totale affinché uno stato possa esistere, il limite superiore dovrebbe invece indicare il rapporto massimo tra questi valori oltre il quale non è più accettabile parlare di liberalismo e si sconfina nella socialdemocrazia. 

È evidente che con il crescere di IS, per quanto detto, si riduce EE, e quindi si riduce sia la ricchezza effettiva disponibile che la possibilità di crescita economica (che dipende dalla prima), inoltre parallelamente si riducono le libertà e la tutela dei diritti negativi (quelli cioè di non essere aggrediti) fino a diventare i minimi possibili quando IS è uguale ad 1. Non a caso Hayek chiama il socialismo la via verso la schiavitù. 

Ciò detto, resta ora il problema di definire gli estremi del liberalismo. Si può ipotizzare ad esempio che i liberali siano tutti coloro che considerano accettabile uno stato che ha IS compreso tra 0,15 e 0,35. Ma tali valori sono comunque arbitrari e non esiste neanche un unanime consenso tra i liberali stessi su quali siano tali valori. Perché 0,15 e 0,35 e non 0,2 e 0,45? 

Tale problema si ripropone nell’individuare gli estremi della porzione di segmento che caratterizza i socialdemocratici. Potrebbe essere 0,4 e 0,65. Ma anche 0,35 e 0,50. Non esiste un consenso unanime. 

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Conosco persone che si ritengono socialdemocratiche che pensano che un IS accettabile potrebbe essere intorno a 0,45. E persone che si ritengono liberali che pensano lo stesso. Cosa li differenzia? 

C’è qualcosa che può far dire ai secondi con convinzione, “io sono liberale”? 

Per la cronaca l’attuale IS del nostro paese è oltre 0,5, e comunque la si veda è difficile sostenere che imperi il turboliberismo, siamo evidentemente in una socialdemocrazia che si sta velocemente spostando su posizioni sempre più socialiste. E tra un attimo vedremo perché. 

Approfondiamo adesso la posizione ancap. Questa ha un grandissimo merito, introduce una prospettiva etica e definisce una posizione teorica coerente. Gli ancap sono liberali estremi che non vengono a patti con i valori di libertà e di proprietà privata, tutti gli altri liberali lo fanno. È una posizione etica perché il non venire a patti con questi valori limita i conflitti sociali e massimizza il benessere generale. È pertanto giusto.

In un’organizzazione anarco-capitalista non c’è giustificazione morale per la coercizione e per l’aggressione. Lo stato, quindi, con il monopolio della coercizione in un territorio, definisce un’organizzazione sociale meno giusta e meno efficiente. E tuttavia, poiché la maggioranza della popolazione lo vuole, tale livello di inefficienza ed ingiustizia è, in definitiva, accettato. 

I filosofi ancap hanno speso energie per mostrare che un’organizzazione sociale di diritto privato è possibile, e nessuno finora ha potuto dimostrare il contrario. (In questi giorni ho sentito i professionisti del pensiero fazioso affermare che la pandemia dimostra il fallimento dell’idea ancap, quando invece essa può solo mostrare, caso mai, il fallimento dell’idea socialdemocratica, ovvero della realtà in cui viviamo.) 

Questa prospettiva etica introdotta dagli ancap deve essere il riferimento morale, il faro del liberalismo. Perché un liberalismo privo di essa non ha niente di veramente originale da aggiungere rispetto alla socialdemocrazia. 

Il liberalismo non può privarsi di quella tensione volta a ridurre lo statalismo, che solo la posizione ancap introduce. Senza di essa lo stato minimo è solo una vuota dichiarazione d’intenti, velleitaria e priva di reali contenuti. Senza di essa ognuno può chiamarsi liberale senza esserlo. La tensione ancap è l’unico elemento che distingue un liberale da un socialdemocratico. 

In definitiva, il liberalismo che esclude la posizione ancap si chiama socialdemocrazia. 

Questo fatto spiega anche l’impossibilità della socialdemocrazia, che non avendo l’àncora ancap, non può che degenerare inevitabilmente verso il socialismo. 

Dall’altra parte gli ancap devono accettare il fatto che gli individui si diano un’organizzazione di tipo statuale. Un ancap che rifiuta a priori l’istituzione statale è un solipsista, un disadattato, ed esprime una posizione irrilevante. 

In questo senso non esistono ancap, esistono solo liberali autentici o non liberali. 

Per cui, ancap, se non volete essere una singolarità, smettete di contrapporvi ai liberali; e liberali, se non volete essere socialdemocratici, smettete di ridicolizzare gli ancap. 

Una liberalismo allargato che includa la posizione ancap e che parli con una voce unita può fronteggiare meglio e con più efficacia il male, ovvero la socialdemocrazia che porta al socialismo. 

Questo liberalismo allargato lo chiamo lib+. 

Nel mio libro la Teoria della forza Guardiana inquadro questo tema nell’ambito di una ricerca di strumenti e strategie concrete per invertire la deriva statalista in atto nel nostro paese. 

 

(1) Non è esattamente vero che tutte le transazioni in un libero mercato sono di tipo win-win. A livello micro infatti alcune transazioni possono essere considerate win-win ex-ante, sulla base delle aspettative dei singoli attori, ma si rivelano poi ex post di tipo win-lose per uno di questi o addirittura lose-lose per entrambi. Tale errore a livello micro, basato sull’incapacità o sulla differente capacità degli attori di valutare le conseguenze di una transazione economica, fa si che anche in condizione di libero mercato l’utilità prodotta non sia mai la massima possibile. Tuttavia sarebbe un grave errore pensare di eliminare questa inefficienza strutturale accentrando a pochi decisori una gran quantità di transazioni economiche ed eliminando la volontarietà, come avviene attraverso un’organizzazione statuale. Ciò infatti eleverebbe a livello macro gli stessi errori (alcuni basati sul fatto che non tutti gli attori economici sono onesti) esistenti a livello micro, con la conseguenza di aumentare la percentuale globale di transazioni win-lose e lose-lose. Quindi in definitiva la ricchezza complessiva prodotta da libero mercato è sempre superiore alla ricchezza prodotta da un’economia mista pubblico-privata.